LAVORARE STANCA – Giuseppe Culicchia (da Il Paese delle Meraviglie)
Accompagno il nonno nell’orto. Deve piantare le canne di bambù accanto alle piantine dei pomodori, per aiutarle a venire su. Tipo che fino a un paio di anni fa ce la faceva da solo. Ma adesso è meglio dargli una mano. È da quando è morta la nonna che il nonno ha il cuore malato. Ultimamente il medico gli ha detto di evitare gli sforzi.
Ecco, guarda. È così che devi fare, mi dice, infilando una canna di bambù nella terra soffice e spingendola giù. Poi devi darle due o tre colpi in testa con una pietra, belli decisi.
Si china per raccogliere la pietra, ma riesco ad anticiparlo. Do un paio di colpi sull’estremità della canna di bambù.
Dlastu vist? Mi sorride il nonno, soddisfatto.
Piantiamo a quel modo una dozzina di canne. Stese a terra ne rimangono altre sei. Ma quando ne afferro una il nonno mi prende per un braccio e mi fa:
Basta così. Mai esagerare: lavorare stanca. Vieni adesso, che in frigo ho una roba per te.
Lo seguo in casa. Dal vecchio frigorifero bianco tira fuori un cornetto Algida. Lui si mischia in un bicchiere un po’ di vino e un po’ di gazzosa.
Nessuno dovrebbe mai lavorare, mi fa, asciugandosi il sudore del collo con un fazzoletto bianco. Ne ho fatti mille di mestieri quand’ero ragazzo, in America. E non uno che mi abbia nobilitato. Il lavoro non nobilita l’uomo. Più facile che lo ammazza. Bojafaus.
Beve un sorso di vino e gazzosa.
Quando lavoravo in falegnameria, un conto era se potevo disegnare io un mobile e poi farlo. Un altro se il padrone mi diceva: fammi quaranta cadreghe tutte uguali, così e così. Perché allora non sei un lavoratore, ma uno schiavo. E tricabranca il lavoro è quella roba lì. Il padrone stabilisce a che ora devi presentarti e a che ora puoi andartene. Che cosa devi fare e come farlo. Quanto lavoro devi fare e a che ritmo. Ti obbliga perfino a vestirti in un certo modo, molte volte, e decide lui quand’è che puoi andare al gabinetto. Senza contare che nelle fabbriche, come negli uffici, ogni dipendente è schedato. Il padrone ha le sue spie, cristeleison, e se dici la tua stai tranquillo che c’è chi glielo va a riferire.
Mi sto mangiando anche la cialda del cono. Al nonno va di parlare. Da quando è morta la nonna sta solo la maggior parte del tempo.
Padroni e sindacati sono d’accordo. Secondo loro dobbiamo vendere il nostro tempo, che poi è l’unica vera ricchezza che abbiamo, in cambio della sopravvivenza. Lorsignori litigano sul prezzo. Ma per come la vedo io nella vita anziché lavorare bisognerebbe giocare.
Giocare?
Ricordo che quando eravamo piccoli, con mio fratello giocavo a mondo…
Per un istante mi sembra che abbia gli occhi lucidi. Col fazzoletto bianco si asciuga la faccia. Fuori il sole si è un po’ abbassato. Prendo l’incarto del gelato e lo butto nel sacchetto di plastica che il nonno tiene attaccato alla maniglia della porta per raccogliere la spazzatura. Poi mi viene in mente che se non lo aiuto io, domani mattina nell’orto dovrà sbrigarsela da solo.
Che ne dici se piantiamo le ultime sei canne? Gli chiedo.
Mi sorride. Andiamo.