Niente. Non c’è niente da raccontare. PAOLO VOLPONI (da Le Mosche del Capitale)

Niente. Non c’è niente da raccontare. Non si racconta più. Lo stato procede, si ferma, si corregge secondo la crisi che gli è stata assegnata dall’industria. La crisi delle istituzioni è crisi delle sovrastrutture e delle produzioni. Non c’è proprio niente da raccontare. Non c’è più madame Bovary. Ci sono le categorie sessuali, i prodotti farmaceutici, letterari, cinematografici, dietetici, comportamentali, obbligativi. Si potrebbe raccontare come mille mogli tradiscono tutte insieme, sopra la stessa biancheria, i loro mariti appesantiti dal lavoro e dall’ingenuità? I giocatori, i ribelli, gli assassini, i pescatori, i ricchi, gli avari, gli incapaci, sono oramai a milioni, tutti uguali nel mondo. Che cosa varrebbe più raccontare qualcosa di mio? Non sappiamo esattamente tutti come vive, pensa, ama, parla Rothschild? E come fa i suoi soldi? E non sappiamo anche tutti come è saltato e com’era sprovveduto Giuffré, il banchiere dei poveri? Non sa già, lei, cosa farà domani per prima cosa il presidente del consiglio nel suo gran palazzo? Tutto ciò ch’è sconosciuto è fuori, e non conta. E anche questo non si può raccontare, se non si sa chi, cosa, dove e come è, come agisce. Il racconto è finito. La narrazione, se vuole, è il bancone del supermercato. Lei non potrà raccontare mai niente di me! Niente di nuovo. La poesia non so bene che sia, né come si compia. Capivo Montale perché avevo vent’anni e mi annoiavo, solo, in un giardino, al mare, sopra una roccia. Sentivo gli stessi piccoli rumori, e vedevo venir su le stesse immagini dalla memoria e dalla malavoglia. Capisco pochissimo Dylan Thomas. Sono sorpreso e anche stupito dalle sue grandiosità ruotanti. Non capisco Ezra Pound. Chi è oggi un poeta rimarchevole in Italia? Che poesia si fa? La superficialità dei futuristi non è stata poi gran cosa di cui vantarsi. Guardavano e imitavano i motori come mezzi selvaggi e fanfaroni di provincia. Nessuno ha capito la città: specie quelle che da capoluoghi di provincia, o anche da vecchie capitali, sono diventate metropoli. Dove si riconosce la città come unità civile? Non certo nella prefettura o nel municipio. In qualche piazza affascinante, forse cattedrale? Tutto divide moltissimo… le scuole le residente il denaro… l’automobile unisce più del tram, il fiume più del corso… unisce molto il football, lo sport…

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